Anche se “chi dice pizza, dice Napoli”, in Sicilia esistono tante varianti del cibo partenopeo per antonomasia che vale proprio la pena di conoscere.
Tra queste, la fauzza di Licata vanta una storia antica e simile a quella della pizza siciliana. Ovviamente, come tutte le pizze, deve molto a quella napoletana, cui va riconosciuto il primato e che resta il modello di riferimento. Tuttavia, la pizza siciliana può vantare una propria specificità a causa delle numerose influenze culturali e alle specialità locali preesistenti.
Secondo il Pitrè, il nome fauzza, detta anche casereccia dai pizzaioli locali che intendono sottolinearne e richiamarne la genuinità), deriverebbe da focaccia che, attraverso numerose trasformazioni (fuaccia, fucazza), sarebbe arrivato al dialettale “fauzza”, nome con cui si definiscono numerose specialità siciliane. Altrettanto valida è la tesi che avvalora l’origine francese del nome da fouace, fouasse, fougasse, fougace o, ancora, l’origine catalana, “fogassa” che la ricondurrebbe, non a caso, alla versione della fuazza con il pomodoro, arrivata in Europa proprio grazie agli spagnoli.
In particolare, Giuseppe Pitrè definisce la fauzza “una pasta di pane cotta nella cenere” riconducibile al territorio agrigentino dove viene preparata l’8 dicembre in occasione dei festeggiamenti per la Madonna; mentre con il termine fuáta, dalla radice della parola “fuoco” perché cotta al calore di un gran fuoco, si indica una pizza del Nisseno, condita con uno spicchio d’aglio tritato, una sarda salata, un filo d’olio, sale, un pizzico d’origano e del pecorino grattugiato su cui vengono poste delle fette di pomodoro.
Questo tipo di pizza a Licata è da sempre considerata un sottoprodotto della panificazione domestica: preparata con l’impasto avanzato dalla preparazione del pane, spesso per la merenda dei più piccoli, e condita al momento con gli ingredienti che si trovavano a portata di mano in tutte le cucine, cotta a fiamma viva nel forno a legna che si stava preparando per la cottura del pane.
L’antenata della pizza licatese potrebbe essere la scacciata, che consisteva in un dischetto di pane che veniva cotto velocemente nel forno dopo che era stato ripulito dalle braci per fare posto al pane e, appena gonfio, veniva tagliato a metà per essere condito (cunzato) con olio di oliva e sale ma anche con ricotta, pepe, sarde salate, pecorino, caciocavallo. L’impasto veniva spianato a mano, senza l’uso di matterello, schiacciando con le dita veniva data una forma allungata, perché doveva trovare posto sulle stesse “pale” su cui veniva messo il pane da infornare. La cottura avveniva a fiamma viva nel forno a legna, che si stava preparando per il pane: da qui le bolle enormi e il cornicione bruciato.
Tra gli ingredienti più importanti, ma anche facili da reperire, la sarda salata (sicuramente presente in tutte le case), che una volta dissalata, pulita e spezzettata, veniva infilata nell’impasto. Non meno importante era l’aglio fresco sminuzzato che poteva essere sostituito dalla “cipuddetta”, ovvero la cipolletta lunga siciliana. Poi si aggiungeva la salsa di pomodoro, fresco o essiccato in base alla stagione e, infine, si arricchiva con un’abbondante spolverata di pecorino locale o caciocavallo ragusano grattugiato. Come aromi, immancabile il basilico, fresco se possibile, e l’origano secco, tutto l’anno. Per un bel colpo d’occhio si guarniva con olive nere (anche solo una centrale) e un giro d’olio extravergine di oliva.
Oggi la pizza licatese viene preparate da numerosi panifici e pizzerie, anche se proposta con nomi diversi e in numerose versioni. Di recente, i produttori locali si sono uniti con l’intento di realizzare un prodotto unico ed inimitabile che rappresenti un’ulteriore occasione per sostenere la crescita del turismo enogastronomico di qualità, sempre più presente a Licata.
Fauzza licatese
Ingredienti
Per l’impasto
1 kg di farina di grano duro
1 cubetto di lievito di birra (25 gr)
acqua q.b.
sale q.b.
Per il condimento
salsa di pomodoro
sarda salata (a piacere)
olive nere
aglio o cipolla
pecorino o caciocavallo grattugiato
origano
basilico fresco
olio extravergine d’oliva
sale e pepe q.b.
Impastate tutti gli ingredienti fino ad ottenere un impasto elastico e soffice. Copritelo con un telo e lasciatelo riposare un’ora. Quindi stendetelo con le mani fino ad ottenere una superficie liscia e non troppo alta. A questo punto conditela con le sarde dissalate, la salsa di pomodoro, le olive, l’aglio o la cipolla e il formaggio grattugiato. Conditela con un giro d’olio e infornatela nel forno ben caldo. Servite “infuocata”.
Permettimi:
– 1kg di rimacinato di grano duro siciliano
– 650 g. di acqua
– 3 g. di lievito di birra
– 50 g di sale
Il condimento (che va aggiunto alla fauzza nell’ordine che qui elenco) prevede circa:
– mezzo spicchio d’aglio tritato grossolanamente.
– mezza sarda salata.
– 5 cucchiai di salsa di pomodoro faino di Licata in dialetto “buttiglieddu”. Oppure, se è il periodo e si gradisce, la stessa quantità di pomodoro faino fresco tagliato grossolanamente, in questo caso viene detta “fauzza ‘ccu pumadoru ‘cca spoglia” ossia fauzza con il pomodoro con la buccia.
– Una manciata di pecorino grattugiato (deve coprire quasi completamente il pomodoro).
– Un pizzico d’origano.
– 1 oliva nera.
– 1 cucchiaio generoso d’olio d’oliva.
L’impasto va lavorato su una superficie di legno preferibilmente uno “scannaturi”, poco igienico rispetto all’acciaio o al marmo ma la tradizione vuole così.
I panetti di 280/300 grammi vanno messi “a lettu” (su un letto letteralmente) tra due lenzuola bianche (che si compravano e si usavano solo per il pane ogni settimana) e coperti da una coperta di lana.
Fai lievitare almeno 8 ore.
Le fauzze o fuazze (dipende da che zona di Licata vivi) vanno schiacciate con i polpastrelli e non col palmo della mano, hanno un diametro di circa 20 cm e una forma leggermente ovale.
Si infornano esclusivamente nel forno a legna avendo cura di avere una bella fiamma viva a lato della fauzza.
Grazie Vincenzo! I contributi dei lettori appassionati e competenti sono sempre bene accetti. Soprattutto se, in questo caso, arrivano da un licatese doc.
Aggiungo, dopo aver parlato con mia madre, che prima degli anni sessanta, se vogliamo essere proprio precisi, facendo il pane in casa praticamente ogni settimana non si usava il lievito di birra ma la “luvatina” che sarebbe il lievito madre.
Poi ho visto che anche a Licata alcune pizzerie usano il caciocavallo dop di Ragusa forse perché fa “fashion chic alta cucina tradizionale”, in realtà ai tempi mia nonna non credo neanche sapesse dell’esistenza di Ragusa (si fa per ridere, ma poi mica tanto). Il formaggio era pecorino locale e non caciocavallo.
Grazie a te per aver parlato di Licata così che si veda che qualcosa di buono alla fine lo abbiamo anche qui.
Fino alla bara s’impara…Lo diceva sempre mia nonna (a proposito di nonne)