Il diamante nel piatto, goloso “cunto” della storia dell’enogastronomia siciliana

(di Manuela Zanni ) “Un giorno Dio Padre era contento e pensò di fare un regalo al mondo e staccò un diamante dalla sua corona. Lo pose sul mare, di fronte al levante: le genti la chiamarono Sicilia”.

Si apre con queste parole, tradotte in italiano da un’antico “cuntu” in dialetto siciliano, “Il diamante nel piatto”, storia golosa della Sicilia in 100 ricette e cunti scritto dalla vulcanica Anna Martano, docente e critica enogastronomica nonché Prefetto per la Sicilia dell’Accademia Italiana Gastronomia e Gastrosofia.

Anna Martano
Anna Martano

«Muovermi tra i fornelli, scegliere gli ingredienti, assaggiare, annusare, toccare, osservare gesti e movenze, imparare tutto questo per me è stato naturale come respirare – spiega la gastronoma  e continua – un giorno ho deciso di aprire i miei taccuini pieni di appunti e di divulgarne il contenuto affinché non se ne perdesse la memoria a causa del processo di omologazione che vorrebbe che tutti mangiassimo le stesse cose”.
Comincia così un excursus storico-culturale sulle dominazioni che si sono avvicendate in Sicilia, lasciando, tra le tante cose, quell’inestimabile patrimonio che costituisce oggi la ricchezza della gastronomia siciliana. Dalla pesca del tonno e la raccolta del sale messa a punto dei Fenici, ai primi  approcci enologici dei Greci che, oltre alla vite, coltivarono anche ulivi, spezie ed erbe mediterranee. Dall’impero romano arrivarono spezie come lo zafferano, i semi di papavero, i chiodi di garofano, lo zenzero, la cannella e il pepe ottimi per la conservazione delle carni. Mentre ai normanni e agli svevi si deve l’introduzione del merluzzo essiccato sottosale (baccalà) e all’aria (stoccafisso). Ma saranno gli arabi a lasciare un’impronta indelebile con l’introduzione dello zucchero che rese possibile la canditura della frutta, la realizzazione di marmellate, confetture e torroni, di glasse e sciroppi “dando origine a quel trionfo di gusto, colori e profumi che è la pasticceria siciliana”.
Ogni ricetta è rigorosamente preceduta da cenni di natura storico-antropologica allo scopo di divulgare, prima ancora che la pietanza in sé, la sua identità culturale. Grande attenzione, inoltre, viene riservata alle ricette i cui ingredienti non contengono glutine che sono indicate con l’apposita dicitura “gluten free”.
Capitolo a parte, nonché tappa doverosa e obbligata quando si parla di Sicilia, è quello dedicato alle cosiddette “cose ruci”, ovvero le cose dolci, da cui deriva il termine “cosaruciaro” con cui, anticamente, si indicava il pasticciere. La pasticceria siciliana è, infatti, un vero e proprio tripudio di sapori, opulenta e sontuosa persino nelle espressioni  “popolari”.
Dopo aver compiuto questa gradevolissima passeggiata attraverso antiche ricette, aneddoti divertenti e curiosità, proponiamo di seguito una delle 100 ricette contenute nel libro che, seppur in apparenza semplice e banale, racchiude in sé il significato della  cultura gastronomica siciliana: piatti gustosi, di sostanza e antispreco, perché le nostre nonne, si sa,  in questo erano maestre.

Pani a capunata

pane-a-caponata-Ingredienti

Pane raffermo
Pomodori da sugo
Aglio
Olio
Peperoncino
Sale q.b.

Tagliate a fette il pane raffermo e tostatele in forno caldo. Immergetele, poi, per un istante in acqua calda e sistematele sul fondo di una insalatiera. Conditele con aglio, olio, sale, peperoncino e fette di pomodoro con il loro sughetto. Mescolate bene e lasciate insaporire per circa un quarto d’ora prima di servire.

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