Grano e civiltà contadina rivivono al convento di S.Antonino di Palermo

S.Antonino-museo-grano-2

(di Claudia D’Amato e Anna Guida) Il frumento, il suo ciclo e tutto quello che vi ruotava attorno sono elementi importanti della cultura siciliana che è anzitutto contadina.

Di grano e di tutto ciò che riguarda la semina, il raccolto, il processo di produzione delle farine e poi dell’alimento più importante, il pane, si è parlato alla conferenza “Pane al Pane”, svoltasi il 4 maggio scorso presso l’Aula Magna dello storico Complesso monumentale di S.Antonino e organizzata in occasione dell’apertura al pubblico dell’antico mulino e della mostra dedicata al ciclo del grano.

Il Mulino Storico di Sant’Antonino, realizzato tra il XIX e il XX secolo dal Regio Esercito Italiano in quello che fu il Convento di Sant’Antonio da Padova – fondato nel 1630, operò per oltre mezzo secolo. I locali che lo ospitano sono stati oggetto di una straordinaria azione di recupero da parte dell’Università di Palermo che ha acquisito l’intero complesso nel 2004.

«La mostra sul grano, sul pane e sulla civiltà contadina perduta è un modo per valorizzare l’edificio restituendolo come valore aggiunto alla città insieme all’antico mulino che durante il dopoguerra assicurava la sopravvivenza di gran parte della popolazione» ha affermato il Rettore dell’Università degli Studi di Palermo Fabrizio Micari. E per chi viene dall’entroterra della Sicilia, come Paolo Inglese, direttore del Centro Servizi del Sistema Museale di Ateneo «il mondo del grano è qualcosa che abbiamo profondamente dentro, è il centro dell’esperienza della nostra infanzia e giovinezza. Ecco perché mi emozionata tanto la mostra di pani, di farine e di tutto il ciclo del grano che è stata allestita nell’ala che ospita l’antico mulino». Caro anche all’assessore all’agricoltura Edy Bandiera il tema del grano che ha ricordato come questo prodotto sia centrale nelle politiche del governo regionale. «Ne è prova l’attività di controllo sui prodotti agricoli di entrata in Sicilia e l’attività di supporto per l’iscrizione di 16 varietà di grani antichi – 14 grani duri e due grani teneri – nel registro di conservazione del Ministero che si aggiungono a Timilia, Perciasacchi e Maiorca».

Di grande fascino la storia del grano in Sicilia che ha segnato fino al secolo scorso la civiltà contadina. A ricordarlo ci ha pensato Ignazio Buttitta, nipote dell’omonimo poeta bagherese e docente di Storia delle Tradizioni popolari presso l’Ateneo palermitano nonchè presidente della Fondazione Ignazio Buttitta che ha curato la mostra “Lu pani si chiama pani” annessa al mulino: «La Sicilia è stata ed è simbolo del frumento, un’isola sacra, ricordata anche da Diodoro Siculo, che ha avuto il dono del grano e della civiltà contadina. Una storia lunghissima quella del grano in Sicilia che si riflette in quella straordinaria avventura che è stata la civiltà contadina, una civiltà millenaria che qualcuno ha avuto la fortuna di potere documentare nella fase del suo tramonto, quando si andava affermando la meccanizzazione che io ho visto con gli occhi da bambino…».

Ma il pane è anche festa, ha sottolineato Antonino Cusumano, ricordando come il pane sia metafora del tempo ciclico e della vita che si riproduce. E la stessa forma del pane diventa simbolo anch’essa dello scorrere del tempo. Si spiega così perché il pane un tempo era solo di forma rotonda: si rappresentava così “dimensione circolare” del tempo, il succedersi delle stagioni e il continuum della vita.

Numerose le parole legate al grano secondo Marina Castiglione docente presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Palermo: «il pane è un punto di arrivo di una tradizione millenaria e ci sono tanti nomi nella tradizione per indicare le diverse varietà: Barbuni, Bianculidda, Castigliuna, Parru, Francisa, Giganti, Custolisa, Margaritu, Scursuneri, Scavuzza e altri ancora. Molte denominazioni di questi grani hanno un unico lessema e cioè “roba forte” e questa forma la troviamo anche su una traduzione di uno dei testi più noti che è “Viaggio in Italia” di Goethe». Nei lessici vengono nominate altre varietà come “Cuccitta”, “Giuntili”, “Inglisa”, “Patriziu”, “Paula” e quelli più recenti come “Pangarò”, “Russeddu” e “Bidì” (proveniente dalla Tunisia) e poi anche Strampeddu e Senatore Cappelli, dal nome del ministro dell’agricoltura Raffaele Cappelli. Dalle denominazioni agli utilizzi in cucina il passo è breve. «Il grano – ha ricordato Marina Castiglione – il 13 dicembre, una volta ripulito e messo in bollitura veniva consumato tal quale e ciò costituiva quello che per noi è ancora oggi un piatto rituale, la “cuccia”». Con le farine e le semole, invece, mediante la semplice cottura nell’acqua, si dava vita a “farinate” e “polente”. Poi, se si disponeva di pasta acida (il lievito madre) si arriva al pane che diventa focaccia se è “chinu” oppure pizza o schiacciata se dispone di “conza”.

Sin dal XVIII secolo la varietà più coltivata per la produzione di pane e pasta era la “tumminìa” (Timilia) un grano duro seminato in inverno o in primavera. Si usava, invece, il grano tenero per il pane che si portava nelle tavole cittadine dei nobili che era sensibile alle alte temperature e inadatto alla conservazione. Il grano tenero era anche chiamato “robba ìanca” o “robbabbianca”, molto usata per i biscotti e i dolci.

I cereali sono un alimento “vecchio” che accompagna le nostre abitudini alimentari sin dall’antichità. Negli ultimi cento anni la nostra alimentazione insieme alle tecnologie produttive sono cambiate notevolmente. Tutte le fasi della trasformazione industriale sono state rese più veloci, ma non sempre è migliorata la qualità. Grandi evoluzioni hanno interessato anche la genetica del grano: le piante delle varietà antiche caratterizzate da un fusto molto alto che si piegava facilmente sono state sottoposte al miglioramento genetico che si è tradotto in piante più basse a cui è associate un ridotto rischio di “coricamento”, cosa che ha fatto aumentare le rese produttive.

Il pane sembra riepilogare la storia mediterranea ed è paragonabile ad un punto di arrivo e di partenza. Ma prima del pane si facevano le farinate, un alimento di cui si parla poco (e si sa anche poco) ma che è fortemente legato al concetto di guerra e di povertà così diffusa tanti anni fa. Lo stessa sensazione di povertà che si ha l’impressione di vivere seguendo il percorso espositivo del vecchio mulino di Sant’Antonino (a due passi dalla stazione centrale di Palermo) che, dopo mezzo secolo di oblio, è stato inaugurato qualche giorno fa e dove tra ingranaggi, tramogge, pulegge e varie attrezzature per la lavorazione del grano, video e cartelloni rievocano momenti della civiltà contadina legati proprio alla coltura del frumento e al ciclo del pane.
Pane che è stato perfino il protagonista della degustazione finale di pane e companatico curata da Bonetta Dell’Oglio con i prodotti forniti da Gustoso Sicilyfood: olio extravergine di oliva, pecorino Dop, pomodoro secco, cipolla e acciughe.

Articolo precedenteProssimo articolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *