Selinunte diventa un brand. Pasta e cous cous col grano cresciuto sotto i templi

Selinunte

(di Maria Grazia Sclafani)  Che Selinunte fosse un posto magico, gli antichi lo avevano ben capito. Bagnata a sud dal mare, l’antica acropoli occupa un incantevole paesaggio bucolico con piante selvatiche, erbe aromatiche e una specie di sedano selvatico e profumatissimo (in greco “selinon“) che diede il nome alla colonia.

Oggi in quella stessa area, che è diventata uno dei parchi archeologici più grandi d’ Europa, è ritornato a crescere il grano. Stiamo parlando non di un frumento qualunque, ma del grano monococco, nella varietà dell’Hammurabi, dello stesso tipo che è stato ritrovato all’interno della Grotta dell’Uzzo, uno dei più importanti siti preistorici della Sicilia che sorge sempre nel Trapanese, nella Riserva dello Zingaro. Dove, evidentemente, è stata individuata la più antica attestazione del passaggio dal ruolo di cacciatori-raccoglitori degli uomini preistorici ad agricoltori.

La sfida è stata reimpiantare quella stesso tipo di grano, cinquemila anni dopo, nello stesso posto. E aspettare che crescesse qualcosa. La scommessa si è rivelata vincente: ben 10 ettari del parco archeologico sono stati destinati a rinvigorire una tradizione sopita da oltre 20 anni: l’agricoltura.

Quest’anno il ricco raccolto di 10 ettari di coltivazione ha dato una produzione di rilievo sia di legumi, ceci, varietà Sultano e Pascià, lenticchie, seminate per oltre un ettaro di terra, riservando invece oltre 9 ettari ai grani duri antichi di origine siciliana, quali Russello, Tumminia e Perciasacchi.
La mietitura della prima semina di grano è stata effettuata oggi. A partire da questo raccolto saranno prodotti pasta, cous cous e altri prodotti finiti con il logo sia del parco archeologico sia del consorzio Ballatore, organismo che fa capo all’assessorato regionale all’Agricoltura, che ha sovrainteso alla semina e alla raccolta dei cerali e dei legumi in 10 dei 270 ettari del parco archeologico.
«È la prima volta che la varietà Hammurabi del Monococco, sul quale lavoriamo con il Crea dal 2006 – ha evidenziato Dino Messina del Consorzio Ballatore – viene coltivata in un parco archeologico». Entusiasta Enrico Caruso, direttore del sito: «Vogliamo far diventare il parco archeologico di Selinunte un’azienda che produce per poterlo mantenere al meglio per i visitatori».
«Il ricavato della vendita dei prodotti finiti, che sarà effettuata ai visitatori – ha spiegato Alessia Davì, commissario straordinario del consorzio Ballatore – sarà diviso a metà tra i due partner. Noi reinvestiremo la somma in ricerca, sempre in questo sito. E’ la seconda volta che gli assessorati ai Beni culturali e all’Agricoltura collaborano, è già accaduto al Vinitaly».

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